Dopo qualche anno di silenzio, una delle più importanti band
dello scenario alt-country ( definizione limitante e forse inesatta) torna a pubblicare un album. Il disco parte
in sordina con un pezzo incerto, e così continua arrancando fino a quando non
arriva la traccia che da il titolo all’album, che ci permette di ascoltare finalmente
un pezzo accattivante. Non si spazia dal tex-mex al jazz, passando per la
psichedelia, con la disinvoltura raggiunta dai Calexico in Fist of wire, pietra miliare, insieme all’energico Hot rail, della loro carriera musicale. Non
è dunque un album di ricerca e sperimentazione, piuttosto un blando ricalco delle
sonorità a cui ci hanno abituato negli anni, dalle ballate soft a qualche
arpeggio un po’ più cupo e intimistico, dimenticando il pathos e l’energia che
hanno sempre fatto da ingredienti base dei loro dischi; Algiers
sembra essere la naturale prosecuzione del precedente lavoro, Carried
to dust, ma purtroppo non ne è all’altezza dal punto di vista qualitativo. Non
compratelo ma comprate assolutamente gli altri album se non li avete ancora
ascoltati.
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